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Fobia sociale (Prima Parte)

  • by Dr. Paolo Iervese
  • Nov. 11, 2013
  • Ansia sociale, Articoli, Casi clinici, Disturbi dell'ansia, Fobia sociale, Psicologia cognitiva

Il caso clinico di CN - L’immagine di sé e il ritiro sociale

Nelle persone con ansia e fobia sociale è talvolta presente un continuo processo di confronto con l’immagine ideale di sé che esse si sono costruite nel corso della propria vita.

Fobia Sociale

Di solito questa immagine nasce sia in forma diretta, assumendo come riferimento le fobia-sociale aspettative parentali e dell’ambiente di riferimento, sia in forma indiretta, attraverso una interiorizzazione radicale di critiche e giudizi ricevuti. Spesso e volentieri il discorso interiore su “come si dovrebbe essere” per essere giusti, adeguati, si categorizza in una opposizione polare tra forza e debolezza, dove la forza è l’idea fondante l’immagine del sé ideale, mentre la sensazione di debolezza coincide con ciò che la persona pensa di essere.

Nel caso di CN, uomo di 35 anni, la paura degli altri si manifesta con comportamenti di evitamento che nel tempo si sono fatti sempre più accentuati. CN mi racconta che l’eventuale presenza di alcuni parenti o amici dei genitori lo spinge a chiudersi in camera per uscire solo quando questi hanno abbandonato la sua abitazione. CN mi spiega che ormai anche il minimo giudizio sulla propria persona arriva a turbarlo in maniera profondissima e per periodi sempre più lunghi, ragione per la quale egli tende a “nascondersi” alla vista di chiunque potrebbe esprimere anche indirettamente un parere su di lui, o ad anticipare il giudizio attraverso il senso di inadeguatezza. Da bambino CN si è sentito profondamente in difficoltà a causa di giudizi di familiari e parenti che hanno più volte sottolineato il suo essere leggermente sovrappeso e spesso malato, facendo nel contempo confronti con cugini e fratelli presentati come “modelli di perfezione”. CN ha costruito un’immagine ideale di sé come totalmente altra rispetto al proprio essere reale, immagine nella quale si vedeva (e si vede) perfettamente in linea, bellissimo, ammirato; nel tempo questa immagine è divenuta assolutamente pervasiva e il senso di frustrazione rispetto al non essere come SI DEVE essere gli ha causato problemi relazionali sempre più accentuati.
In particolare CN ha sviluppato un’idea di inadeguatezza profonda, che è tracimata dalla bassa autostima per il fisico a ogni dimensione mentale e relazionale; ha cominciato a reputarsi inadatto a tutto, poco intelligente, fallimentare nelle proprie attività, nonostante egli presenti indubbie capacità cognitive e una spontanea simpatia e immediatezza che nasconde dietro la fitta coltre delle emozioni di imbarazzo e vergogna. Le emozioni provate nella relazione spostano la teorizzazione su di sé di CN sul versante debolezza: egli si pensa assolutamente impossibilitato alla relazione e incapace di riuscire nelle proprie attività, sviluppando una rabbia nei propri confronti, nei confronti del proprio “fallimento”, che assume le intensità dell’odio e del disprezzo. La possibilità, sperimentata soprattutto nella fase adolescenziale, di riscoprire aspetti positivi di sé, legati alle sue capacità intellettuali, gli ha permesso, durante la fase del liceo, di sentirsi forte, in quanto rispondente a una immagine deformata del proprio essere. Durante gli anni del liceo, infatti, CN si è sentito assolutamente superiore per cultura e interessi ai propri compagni di classe, riuscendo a interpretare il ruolo dell’intellettuale maledetto, isolato per propria scelta, che disprezza la bassezza dei propri simili e aspira alle grandi mete dell’espressione dell’umano nell’arte, nella poesia, nella filosofia. Questa lettura cognitiva andava di pari passo con la progressiva espressione di capacità intellettuali che realmente CN possiede in maniera spiccata e che oggi, a distanza di vent’anni dalla fine del liceo, tende a misconoscere o denigrare. La fine del liceo ha coinciso con la fine di una situazione che permetteva l’identificazione in un ruolo sentito come “vincente”, con il ritorno agguerrito della sensazione di profonda debolezza e inadeguatezza.

Evidentemente per CN gli unici stati (mentali) possibili sono quelli del forte e del debole, con una polarizzazione di natura radicale, tutto o nulla, a caratterizzazione tematica ossessiva. Il forte coincide con il sentirsi adeguati all’immagine di sé e con il giudizio spietato nei confronti degli altri, mentre il debole coincide con l’immagine di sconfitta e la visione degli altri come forti, cattivi e giudicanti. In entrambi i casi sia il Sé che l’altro devono essere inseriti in ruoli ingessati e immutabili, in contenitori valoriali (il forte, il debole) e caratterizzati da un giudizio inappellabile: quando CN si sente forte egli è adeguato e giusto; in questo stato mentale, permesso dalla contingenza, gli altri slittano inevitabilmente nello stato del debole, caratterizzato da inadeguatezza e bassezza; in questo caso CN può provare sentimenti di orgoglio nei propri confronti e di disprezzo verso gli altri; in ogni caso la distanza relazionale viene solo in parte accorciata e sempre attraverso situazioni che mettano in evidenza il bisogno dell’altro nei confronti di CN. Nello stato mentale del “forte” CN si può permettere di essere avvicinato senza temere il giudizio, e nello stesso tempo può giustificare, con il sentimento del disprezzo verso gli altri, la distanza relazionale, senza doversi riconoscere il profondo bisogno dell’altro, del suo amore, della sua amicizia. Nello stato mentale del debole CN si disprezza e sente di non potersi permettere di avvicinarsi agli altri, visti come cattivi, carnefici che godono nel ferirlo con giudizi impliciti o espliciti che siano. La figura dell’altro, il tu così tanto temuto, è di volta in volta esaltata o denigrata, e il giudizio, visto sempre come inevitabile, disprezzato in quanto manifestazione di ignoranza e inferiorità o ingigantito come esplicitazione di una sorta di giudizio di Dio, inappellabile e definitivo. Una sentenza di condanna. Lo sforzo di CN, in tutti questi anni, è sempre stato quello di riconquistare lo stato mentale del forte, contestualizzato temporalmente negli anni del liceo, tentando di tornare a sentirsi superiore e sprezzante verso gli altri e alimentando nel contempo un profondo sentimento di disprezzo verso di sé, in quanto non in grado di riconquistare questo tipo di mentalizzazione del senso della relazione umana (continua..).

Dr. Paolo Iervese


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Iscritto all’Ordine degli Psicologi della Lombardia n. 03/14493, dal 14/04/2011
Laurea In Neuroscienze Cognitive, Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva
P.I. 03285880120

 

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