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Donna Flor e i suoi due mariti

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Donna Flor e i suoi due mariti

  • by Dr. Paolo Iervese
  • Mar. 3, 2013
  • Recensioni

Donna Flor, una donna sospesa tra nomadismo e stanzialità

Donna Flor e i suoi due mariti

Personaggio nato dalla penna di Jeorge Amado, creatore instancabile di immaginari bahiani, descrittore di profumi e sapori, di personaggi caratteristici e di spessore, e reso magnificamente da una bravissima Sonia Braga nel film omonimo di Bruno Barreto, Dona Flor è l’esempio di un tentativo di sintesi che ha a che fare con un vissuto esistenziale tanto diffuso quanto negato. Flor è la moglie di Vadinho, giovane affascinante, debosciato, tutto casa, casino e casinò. Vadinho è quanto di peggio si possa immaginare come compagno di vita: distratto e annoiato dalla quotidianità, sempre in cerca di emozioni forti, arriva spesso a picchiare la moglie per sottrarre e sperperare i soldi che con fatica la povera Flor ha  guadagnato attraverso lezioni di cucina bahiana, organizzate nella modesta casa di proprietà.

Vadinho frequenta ciondolante le lezioni di cucina della moglie, per tentare di sedurre le giovani allieve proprio sotto gli occhi di Flor, che non sempre può permettersi di vedere fin dove arriva l’indecenza del marito

Vadinho muore di infarto mentre è coinvolto nell’ennesimo carnevale orgiastico in cui, abbandonata Flor a casa, ha speso tempo e denaro tra donne, alcol e gioco.

A questo punto Flor ha la possibilità di rifarsi una vita, come sottolineano con pettegola partecipazione tutte le sue amiche, perse in una quotidianità priva di emozione che scambiano per “normalità”. Flor si guarda attorno, è bella, sensuale, giovane, non resterà sola a lungo. Sarà un serioso, timido e innamorato farmacista, don Teodoro, ad avere la fortuna di sposare Flor in seconde nozze. Per la giovane donna bahiana inizia una seconda vita, fatta di inviti nella società borghese e perbenista della città, di noiosissimi tè e formalità cui Flor non é assolutamente abituata, il tutto con uno stile di vita agiato che fa apparire il recente passato quasi come un incubo da cui Dona Flor si è risvegliata per ritrovarsi in una favola, quella della nuova Cenerentola che sposa il principe (per finezza, ricchezza e cortesia) di turno. Eppure le cose non vanno come dovrebbero, Flor comincia lentamente, vergognandosene, a provare nostalgia per le emozioni forti che viveva con il suo suo Vadinho, amante appassionato, travolgente, e il ricordo degli amplessi passati e di una vita sempre sul filo di una tragedia che vitalisticamente non può che mancare, fanno sì che il desiderio della donna arrivi a materializzare lo spirito di Vadinho, sempre più in vena di smargiassate e irriverenti tentativi di seduzione della propria (ex)compagna.

Flor è profondamente turbata, Vadinho, in spirito e seduzione, è sempre lì che l’accarezza, la coinvolge, la spia in cima all’armadio, invisibile agli occhi del rivale, ride in maniera scomposta quando Teodoro si impegna in amplessi che poco concedono a creatività e perizia. Ed è sempre nudo! Vadinho esprime una fisicità primitiva, inquietante, è tutto immediatezza, l’antitesi più radicale possibile allo stile compassato e controllato di Teodoro. Dona Flor non può più resistere, sa che sta per cedere alle profferte amorose dello spirito libero che la perseguita e la strega, tanto che decide di rivolgersi a una adepta del candomblè, chiedendole di oganizzare un rito per far sì che lo spirito di Vadinho possa tornare nel regno dei morti. Mentre la cerimonia è in corso Dona Flor vede che lo spirito di Vadinho le viene portato via, la disperazione la spinge a lanciare un grido violento che interrompe la liturgia afrobrasiliana. Il romanzo e il film chiudono sulla stessa scena: Dona Flor esce da messa sottobraccio a Teodoro, in una domenica di sole e di festa, tra la folla bahiana intenta a vivere intensamente e attraversa la strada mentre Vadinho, il secondo marito, che solo lei può vedere, cammina nudo alla sua sinistra, palpandola come solo lui può fare.

Dona Flor è quindi l’anti-Cenerentola, ci sbatte in faccia la possibilità altra, quella mai vagliata, quella che infrange gli immaginari comuni; c’è l’ascesa sociale, la conquista di uno status da middle class; Dona Flor riesce a raggiungere benessere e rispettabilità dopo gli anni dell’inquietudine, del tradimento, delle violenze…. Eppure… Teodoro rappresenta per Flor la sicurezza, la possibilità di poter vivere finalmente la famiglia-nido, la dimensione fusionale di una coppia che si rispetta e si ama di un amore tenero, protettivo… Eppure… Questa sicurezza economica, sociale, sicurezza che fa felice la mamma di Flor, che accende l’invidia delle amiche, che si mostra al mondo come conquista dell’ambito premio, il rispetto dovuto, questa sicurezza dovuta alla protezione ottenuta conduce direttamente alla noia. Come se Cenerentola, annoiata del principe azzurro, sognasse il quartiere proletario di provenienza e un fidanzato povero, scostante e traditore. Possibile? Nessun vissero felici e contenti, quando Flor incontra don Teodoro, nessun lieto fine con coronamento dell’immaginario proletario costruito sapientemente dalla penna borghese. In Dona Flor non è più questione di immaginari e classi sociali, nella nostra eroina fobica si scontrano pezzi esistenziali, parti psichiche, bisogni profondi che attengono a oscillazioni emotive che fluttuano tra contorni antagonisti di significato che vanno dal bisogno di sicurezza e protezione a un infinito, potente, destabilizzante desiderio di libertà. Dona Flor non può scegliere, come l’esteta di Kierkegaard la giovane donna si apre voluttuosa e leggera alle infinite possibilità e di tutte abbisogna per sentirsi contemporaneamente viva e protetta. Come poter mai scegliere? Vadinho assicura passionalità, coinvolgimento, sesso sfrenato, imprevedibilità; ma una vita giocata tutta sulla corda dell’esito catastrofico diventa presto invivibile, chiede una soluzione, un confine, un luogo sicuro che non potrà mai essere la casa in cui imperversa un tale satiro a piede libero. Allora ci si rivolge al porto sicuro, alla quiete dopo la tempesta, al don Teodoro che ha orari precisi, è sempre a casa quando deve esserci, ha sempre un gesto di attenzione e una considerazione quanto mai opportuna da fare. Come rinunciare al don, che tanto è innamorato e tanto può darci?Nella vita reale, quella della gente comune, fuori dai film e dai romanzi, in che modo si conciliano il bisogno di libertà e quello di protezione? Come sintetizziamo il nomade che grida in noi con il bisogno stanziale di tornare a casa la sera e trovare riuniti intorno al sacro desco gli affetti con al centro gli arrosti?

Il tradimento diventa la strada principe degli annoiati, la scappatella che dà le emozioni che i corpi coniugali, da troppo tempo frequentati, non possono più dare. Eppure il tradimento del fobico non arriva mai a mettere in discussione l’unità della famiglia, il bisogno di tornare a casa dopo la dose dovuta di emozioni forti. Lo scompenso fobico arriva quando il soggetto crede di dover necessariamente scegliere, quando la sensazione prevalente è quella che ci suggerisce che il bisogno di libertà dovrà necessariamente essere sacrificato a quello di sicurezza, e viceversa. Nel momento in cui penso che non potrò mai essere sicuro se libero, che non mi sarà mai concesso di essere libero se sono in condizione di sicurezza, allora il mio cervello si sente prigioniero di una conflittualità insolubile che si trasforma in sintomo nevrotico palese. Da tempo tradisco mia moglie, ma quando questa minaccia di lasciarmi comincio a sviluppare attacchi di panico. Da troppo tempo non esco se non accompagnato da mia moglie, ma questa mia dipendenza mi fa sentire costretto e sento un fastidio tremendo nei confronti di quella donna che non riesco a scrollarmi di dosso. Di come superare le antinomie del fobico parlerò in seguito e in altre rubriche. Per adesso ci interessa vedere come Flor ha risolto il suo dilemma: ha tenuto con sé il nomade e lo stanziale, ha conciliato l’inconciliabile come solo nella grande arte può accadere. Grazie Jorge, per averci regalato Flor, grazie davvero. Che la terra ti sia lieve.

Dr. Paolo Iervese


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Iscritto all’Ordine degli Psicologi della Lombardia n. 03/14493, dal 14/04/2011
Laurea In Neuroscienze Cognitive, Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva
P.I. 03285880120

 

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